Nell’avvicinarsi alla sua conclusione, con L’Albergo dei Poveri di Massimo Popolizio dal 17 al 23 aprile, la Stagione di Prosa della Stagione di Prosa 2023/2024 della Fondazione Teatro Donizetti propone uno dei capolavori di William Shakespeare: Il Mercante di Venezia. A portarlo in scena al Teatro Donizetti, da martedì 9 a domenica 14 aprile, sarà Franco Branciaroli: l’attore milanese, nel ruolo di Shylock, avrà al suo fianco Piergiorgio Fasolo (Antonio), Riccardo Maranzana (Salerio / Doge), Emanuele Fortunati (Solanio / Principe di Marocco), Stefano Scandaletti (Bassanio), Lorenzo Guadalupi (Lorenzo), Giulio Cancelli (Graziano / Principe di Aragona), Valentina Violo (Porzia), Mersila Sokoli (Nerissa), Mauro Malinverno (Lancillotto / Tubal), Veronica Dariol (Jessica). Traduzione di Masolino D’Amico. Regia e adattamento di Paolo Valerio. Scene di Marta Crisolini Malatesta. Costumi di Stefano Nicolao. Luci di Gigi Saccomandi. Musiche di Antonio Di Pof. Movimenti di scena Monica Codena. Produzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Centro Teatrale Bresciano, Teatro de Gli Incamminati. Giovedì 11 aprile matinée ore 10.30; sabato 13 doppia replica ore 17 e ore 20.30. Domenica 14 inizio spettacolo ore 15.30. Durata: 135 minuti compreso intervallo.

Con i suoi potenti temi universali Il mercante di Venezia di William Shakespeare – rappresentato per la prima volta a Londra nel 1598 – pone al pubblico contemporaneo questioni di assoluta necessità: scontri etici, rapporti sociali e interreligiosi mai pacificati, l’amore, l’odio, il valore dell’amicizia e della lealtà, l’avidità e il ruolo del denaro. È un testo fondamentale riproposto nel raffinato allestimento firmato da Paolo Valerio, con Franco Branciaroli che interpreta Shylock, figura sfaccettata, misteriosa, crudele nella sua sete di vendetta, ma che spiazza gli spettatori suscitando anche la loro compassione. A lui, ebreo, usuraio, si rivolge Antonio, ricco mercante veneziano, che pur avendo impegnato i suoi beni in traffici rischiosi non esita a farsi garante per l’amico Bassanio che ha bisogno di tremila ducati per armare una nave e raggiungere Belmonte, dove spera di cambiare il proprio destino. Shylock che ha livore verso i gentili e sete di vendetta per il disprezzo che gli mostrano, impone una spietata obbligazione. Se la somma non sarà restituita, egli pretenderà una libbra della carne di Antonio, tagliata vicino al cuore. Parallelamente allo scellerato patto che Antonio sottoscrive, evolvono altre linee del plot creando un’architettura drammaturgica di simmetrie e specularità dense di senso.

«C’è sempre qualcosa di potentemente fisico a caratterizzare la figura di Shylock: un forte rapporto con la materia, con il corpo, con ciò che è divorabile… “sazierò l’antico rancore” è una delle prime asserzioni dell’ebreo. Un verbo non scelto a caso, in una battuta che pone subito in luce il tema fondante della vendetta contro una società che esclude chi le è estraneo», commenta Paolo Valerio nelle note di regia. «Sono infatti odio e spirito di vendetta – per gli sputi subiti, per gli insulti di Antonio che lo paragona a un cane rabbioso, per il suo opporsi all’usura – a suggerire a Shylock la crudele obbligazione per il prestito al mercante, la famosa libbra di carne: “Lui odia il nostro sacro popolo e inveisce contro di noi e io odio lui perché è un cristiano” dice infatti l’ebreo, dichiarando chiaramente lo scenario di un’aperta lotta fra religioni, fra culture».

«Ma nell’immaginario degli spettatori è la “libbra di carne” a rimanere impressa, e scivola via invece l’inumana scelta del mercante, fino ad allora tratteggiato come un uomo libero, più o meno illuminato, generoso… E che invece rivela un lato vendicativo, un atteggiamento impositivo che rimanda piuttosto all’oscurantismo dell’inquisizione. Shylock, davanti ad un simile atto, avrebbe potuto a propria volta immolarsi, dire “no, uccidetemi”. Invece per sopravvivere dice “accetto”: questa è la sua vera sconfitta. Rimane un escluso, un violento e diviene un perdente, privato non solo della sua orribile obbligazione, e del denaro, ma soprattutto della sua dignità. Shakespeare lo lascia così: lo fa uscire di scena “sottovoce” nel quarto atto, dedicando il quinto alla dimensione dell’incanto e del divertimento di Belmonte, alla celebrazione di un universo femminile, luminoso, intuitivo e salvifico, come spesso è nella sua drammaturgia. Ma la figura dell’ebreo e la sua dialettica con il mercante, sono così centrali, così potenti e universali, che abbiamo scelto di evidenziarlo, aprendo e chiudendo il nostro spettacolo con un’apparizione di Shylock, che nell’ultima scena vive davanti ai nostri occhi la brutalità di una conversione imposta».